RASSEGNA STAMPA – LA MELONI BLOCCA LA LEGA: DELL’AUTONOMIA SE NE PARLERÀ DOPO IL VOTO EUROPEO…

Tommaso Ciriaco per la Repubblica – Estratti

La cosa più grave è che ormai Matteo Salvini non parla più neanche con gli uomini più fidati di Giorgia Meloni, se non per comunicazioni estremamente formali. Né riesce a mantenere un filo con i sottosegretari alla Presidenza e i tre ministri di peso di Fratelli d’Italia: Guido Crosetto, Raffaele Fitto e Francesco Lollobrigida. Tra i due leader, d’altra parte, tutto si limita a un trionfo delle buone maniere: cortesi in pubblico, pronti a incontrarsi se strettamente necessario, ma senza più fiducia reciproca. Consapevoli entrambi – lo riferiscono dai rispettivi staff anche in queste ore, con una brutalità che desta effetto – di dover al massimo trovare un modo per convivere. Pronti, però, a sgambettarsi alla prima occasione utile. Ecco, sono proprio le occasioni a non mancare. L’altro ieri, alla Camera, Roberto Calderoli convoca i capigruppo di maggioranza e sostiene: «Il ddl sull’autonomia deve andare in Aula entro aprile. Questi sono i patti». Il leghista richiama gli accordi assunti da Meloni e Salvini: «Un primo via libera prima delle Europee, così hanno stabilito». Con toni morbidi, l’ambasciatore di Fratelli d’Italia presente – sostenuto cautamente da Forza Italia – alza la mano frenando: «Per noi il testo deve correre parallelamente al premierato. Il problema è che al Senato quella riforma ci sta mettendo più del previsto…». Il premierato, insomma, procede a rilento, anche se ieri in commissione sono state introdotte due novità (l’esclusione della controfirma del governo per alcuni atti presidenziali e la possibilità per il Capo dello Stato di sciogliere le Camere durante il semestre bianco in caso di sfiducia o di dimissioni volontarie del premier). E questo ritardo spinge Meloni – sostenuta pure dall’ala meridionale di Forza Italia, sempre più decisiva e capitanata da Roberto Occhiuto – a non regalare un vantaggio all’alleato prima delle elezioni. La riunione con Calderoli si scioglie con un nulla di fatto. Ma non basta. Poco dopo, il ministro leghista contatta Palazzo Chigi, portando il messaggio del capo: senza autonomia, può succedere di tutto. Non ottiene però il risultato di spaventare la presidente del Consiglio. Che ai suoi ribadisce la linea: il premierato prevede un doppio passaggio, a differenza dell’autonomia, dunque nessuno pensi di forzare ancora di più i tempi sul ddl caro alla Lega. I dubbi dei meloniani dovrebbero tradursi in una strategia del “rallentamento”.    (…) È solo uno dei tasselli dello scontro, un sintomo dell’incomunicabilità tra i due leader, ma non è certo l’unico problema. Meloni deve scegliere la strategia politica in vista delle prossime Europee. Per farlo, deve rispondere a un quesito fondamentale: conviene candidarsi, ben sapendo che Salvini verrebbe penalizzato, oppure rinunciare alla corsa per non mortificarlo? Dopo aver lasciato intendere di volersi giocare la partita in prima persona, non sarebbe facile ritirarsi senza mostrarsi debole. Se dunque dovesse andare fino in fondo, lo farebbe sapendo di dover comunque mettere in sicurezza la Lega, anche in caso di capitombolo elettorale del suo segretario. Come? La premier si confronta da tempo con i principali big del partito: Luca Zaia, Max Fedriga e Riccardo Molinari, tra gli altri. Resta però un cruccio. Se anche Fratelli d’Italia dovesse ottenere percentuali lusinghiere alle Europee, il gruppo dei Conservatori potrebbe uscire malconcio dalle urne. Rischiando di non incidere abbastanza nei nuovi equilibri continentali. E di subire il sorpasso di Id, il gruppone di estrema destra di Marine Le Pen, l’Afd tedesca e – dettaglio decisivo – Matteo Salvini. Sono loro a candidarsi al ruolo di vera opposizione a Bruxelles, costringendo l’Ecr a un posizionamento ibrido. L’unico modo, forse, che Meloni avrebbe per ritagliarsi un ruolo è quello che al momento pochi a Palazzo Chigi amano considerare: investire su Mario Draghi, promuovendolo ai vertici delle istituzioni europee.