RASSEGNA STAMPA – IL SERVIZIO SANITARIO NAZIONALE VERSO IL DISASTRO…APPELLO DI SCIENZIATI E PREMI NOBEL

1 – “SALVARE LA SANITÀ PUBBLICA” IN CAMPO NOBEL E LUMINARI

Estratto dell’articolo di MI.BO. per “la Repubblica”

Il premio Nobel Giorgio Parisi ha detto subito, convintamente, di sì. Poi sono arrivate le firme degli altri. «Avremmo potuto raccogliere moltissime adesioni, a centinaia, ma abbiamo preferito contenere i tempi e rendere pubblico il nostro pensiero più rapidamente possibile perché sono temi urgenti», spiega Ottavio Davini, radiologo già direttore sanitario delle Molinette, che ha steso la prima versione dell’appello intitolato “Non possiamo fare a meno del servizio sanitario pubblico”. In 14 hanno deciso di sottoscrivere la pagina di sintesi e le quattro di argomentazione estesa, con tanto di note. Tra i nomi (molti dei quali lavorano per realtà private) ci sono quelli dell’ematologo del Bambin Gesù Franco Locatelli, presidente del Consiglio superiore di sanità, di Alberto Mantovani, direttore scientifico dell’Humanitas di Milano, del fondatore del Mario Negri Silvio Garattini, dell’economista sanitaria Nerina Dirindin, già parlamentare Pd e Articolo 1, dell’oncologo Lucio Luzzatto, dell’epidemiologo dell’Imperial college di Londra Paolo Vineis, di Francesco Longo della Bocconi, dell’oncologo e presidente Aiom Francesco Perrone. «I dati dimostrano che il sistema è in crisi — si legge all’inizio dell’appello — Arretramento di alcuni indicatori di salute, difficoltà crescente di accesso ai percorsi di diagnosi e cura, aumento delle diseguaglianze regionali e sociali. Questo accade perché i costi dell’evoluzione tecnologica, i radicali mutamenti epidemiologici e demografici e le difficoltà della finanza pubblica, hanno reso fortemente sottofinanziato il servizio sanitario nazionale, al quale nel 2025 sarà destinato il 6,2% del Pil, meno di vent’anni fa». Gli scienziati ed esperti di sanità chiedono un piano straordinario di investimenti. Nella stesura della lettera sono stati coinvolti membri del Consiglio superiore di sanità e dell’Accademia dei Lincei, di cui Parisi è vicepresidente. […] Silvio Garattini, sentito da Salute, il content hub del gruppo Gedi , ha detto: «Se non interveniamo il rischio è una sanità a pagamento, come negli Usa». Poi ha aggiunto di essere «stupido dall’inerzia del governo sulla sanità».

2 – OSPEDALI A PEZZI E ATTESE INFINITE IL CONTO SALATO DI VENT’ANNI DI TAGLI

Estratto dell’articolo di Michele Bocci per “la Repubblica”

[…] Purtroppo in Italia è in corso da tempo un definanziamento del sistema pubblico, che con il governo di centrodestra, per sua stessa previsione, è destinato a raggiungere livelli mai visti. A cascata arrivano gli altri problemi. Quelli che riguardano le liste di attesa e la conseguente spinta dei cittadini verso il privato, quelli legati ai problemi strutturali degli ospedali e pure quelli di organico. A finanziare le cure è il Fondo sanitario nazionale. Se si guarda solo quello (nel 2024 è di circa 134 miliardi) si osserva un aumento di anno in anno e non si comprende la situazione. La Corte dei Conti, nella nuova “relazione al Parlamento sulla gestione dei servizi sanitari regionali”, valuta invece il rapporto tra spesa sanitaria e Pil. L’ultima Nadef, la Nota di aggiornamento del documento di economia e finanza, prevedeva per il 2023 che la spesa valesse il 6,6% del Pil, scendesse poi al 6,2% quest’anno e il prossimo e addirittura al 6,1% nel 2026. Il tutto mentre nel resto d’Europa si investe molto di più sulla sanità. Nel 2022 la Germania era al 10,9%, la Francia al 10,3, il Regno Unito al 9,3 e la Spagna al 7,3. Il pubblico spende sempre meno e i cittadini sempre di più. Il sistema sanitario non è ancora riuscito a riportare l’offerta al periodo precedente al Covid. Nel 2019 si facevano oltre 210 milioni di visite ed esami, dato mai più raggiunto. Nei primi sei mesi dell’anno scorso non si è arrivati a 100 milioni. […] Sono tantissimi i cittadini costretti a rivolgersi al privato per ottenere una prestazione in tempi accettabili. Ma c’è anche chi non può permetterselo e aspetta o rinuncia alle cure. La Corte dei conti spiega che «nel 2022 la spesa a carico delle famiglie è stata il 21,4% di quella totale, pari ad un valore pro capite di 624,7 euro, in crescita del 2,1% rispetto al 2019». Sempre facendo un confronto con gli altri Paesi europei, in Francia l’out of pocket vale l’8,9% e in Germania l’11%. Vecchi ospedali L’Italia ha un problema di ospedali vetusti. Solo il 18% delle strutture di cura hanno meno di 33 anni, cioè sono state costruite dopo il 1990. Quelle tirati su prima della fine della Seconda guerra mondiale sono molte di più, il 27%. Ma di recente il governo ha tolto dal Pnc, il Piano nazionale complementare al Pnrr, circa 1,2 miliardi destinati al programma “Verso un ospedale sicuro e sostenibile” invitando le Regioni a reperire i soldi da un altro fondo, quello per l’edilizia ospedaliera. […] Ci sono fondi Pnrr anche per comprare nuove attrezzature diagnostiche e fino ad ora sono state soprattutto le Regioni di Centro-Nord a spenderli. Secondo Confindustria dispositivi medici, in Italia ci sono quasi 37mila apparecchi non più in linea con l’attuale livello di innovazione. Il 92% dei mammografi convenzionali ha più di dieci anni, così come il 96% delle Tac e il 91% dei sistemi radiografici fissi. Siamo nel periodo più critico per gli organici della sanità. Al periodo di gobba pensionistica dei dottori si affiancano gli effetti del numero chiuso a Medicina. Si laureano in questi anni i giovani entrati quando i posti erano pochi. In futuro le cose miglioreranno (per i sindacati alla fine ci saranno pure troppi camici bianchi), intanto si soffre. Mancano circa 10-15 mila professionisti, in particolare ci sono problemi nei pronto soccorso, nelle chirurgie, nelle rianimazioni. Le paghe sono molto più basse rispetto a quelle di altri Paesi europei, il lavoro è sempre più duro per le carenze e così è sorto anche il problema delle fughe dal sistema pubblico, verso l’estero o verso il privato. La stima è che l’anno abbiano lasciato circa 5 mila ospedalieri su 100 mila. La crisi riguarda anche gli infermieri, che sarebbero addirittura 65 mila in meno. Anche questi professionisti lasciano e tra i problemi c’è la paga troppo bassa, 1.600 euro, per chi arriva a lavorare dopo tre anni di università.