RASSEGNA STAMPA – A Palazzo Chigi intorno alla Meloni…

(nella foto Alfredo Mantovano Giorgia Meloni)

 

FONTE DAGOREPORT

Per comprendere la melonizzazione di Alfredo Mantovano è necessario fare un salto indietro. Il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio doveva essere il factotum di Giorgia Meloni, Giovanbattista Fazzolari. La Ducetta, che l’ha sempre considerato “la persona più intelligente che abbia conosciuto” (pensa gli altri…), non lo promosse ministro proprio per permettergli di restare giorno per giorno incollato al suo fianco. Ma dieci giorni prima del varo del primo governo italiano guidato da una donna, l’esperto Gianfranco Fini indottrinò la sua ex pulzella Meloni: dove pensi di andare senza un uomo che sappia collegare e coordinare Palazzo Chigi alle istituzioni, quel famigerato Deep State formato dal Quirinale, Corte dei Conti, Consulta, Servizi, Ragioneria, etc. Un potere “invisibile” su giornali e talk ma che è il motore che manda avanti la macchina dello Stato senza il quale il premier può girare il volante del governo quanto e dove vuole ma resta in garage. Basta rinculare un po’ nel tempo per constatare come sono affondati gli esecutivi di Matteonzo Renzi (il tapino si permise di nominare il capo dei vigili urbani a capo del legislativo di Palazzo Chigi), a seguire quelli di Conte e di Salvini. Puoi contare pure sul 30/40 per cento nelle elezioni e nei sondaggi volare come un’aquila ma quando gli occupanti di Palazzo Chigi cominciano a cotonarsi il cervello confondendo l’autorevolezza con l’autoritarismo, la condivisione con l’arroganza “Qui comando io!” e Lor Signori diventano quindi ‘’inaffidabili’’; allora il Deep State prende le forbici e, zac!, taglia i fili e rispediscono i burattini a casa a lucidare i manganelli. Appena fu decisa la nomina di Mantovano a Sottosegretario di Stato alla presidenza del Consiglio, l’editorialista del Corriere della Sera Antonio Polito si precipitò a scrivere su Twitter: “Attenti ad Alfredo Mantovano, la vera sorpresa del governo, sottosegretario alla Presidenza del Consiglio. Per chi non lo ricorda, è persona seria e di valore”. Vedovo, tre figli, ex magistrato, è stato parlamentare di An e sottosegretario all’Interno nei governi Berlusconi II e IV nonché “montiano” dell’allora Pdl (così detto dal giorno del dicembre 2012 in cui, a differenza del Cav., Mantovano votò la fiducia al “tecnico” Mario Monti). Con quell’espressione più triste di un piatto di verdure lesse, si vanta di essere un cattolico tradizionalista su bioetica, famiglia, droghe, matrimoni gay ed eutanasia (uno dei suo motti: “Cristo c’è sempre anche se mi distraggo e lo credo assente”): non a caso si è laureato alla Sapienza nel 1983 con una tesi sulla costituzionalità della legge italiana sull’aborto. Raccontato come “esperto conoscitore della macchina governativa”, gli apparati dello Stato puntavano molto sul buon senso istituzionale di Mantovano per arginare le estremizzazioni alla “Meglio perdere che perdersi” del camerata Fazzolari. E nei primi mesi ha mantenuto le attese tenendo aperto il suo canale con le istituzioni, scontrandosi con il “genio” di “Io sono Giorgia”. Poi l’onda d’urto del quadrilatero della Fiammetta Nera (Giorgia, Arianna, Fazzolari, Scurti) al grido “O si fa così o niente!” ha avuto la meglio ed oggi ci ritroviamo un bel Mantovano melonizzato. Un trasbordo durante il quale ha dovuto ingoiare qualche rospo. Quando Meloni, per far dispetto a Salvini, ha estromesso il ministero dell’Interno dal dossier immigrazione girandolo nelle mani di Mantovano, Piantedosi ha subito stoppato il sottosegretario (‘’Il ministro sono io”) e, capito l’antifona, contemporaneamente ha traslocato le sue simpatie da Salvini verso Meloni. Un lampante cambio di casacca è avvenuto proprio ieri quando Piantedosi ha deciso di affidare la gestione dell’emergenza immigrazione al prefetto Laura Lega. La stessa che 7 anni fa, febbraio 2016, in piena emergenza immigrazione, Matteo Salvini apostrofò rudemente:  “Vai a casa e cambia lavoro”. La melonizzazione di Mantovano ha toccato il climax del ridicolo in occasione dell’insostenibile burla telefonica dei due russi, al punto di dichiarare che Meloni “aveva capito subito” con chi stava parlando. Subito è arrivata la pernacchia quando, ospite della Gruber il cosiddetto comico ha tenuto a precisare che la conversazione è durata quasi mezz’ora e ha ammesso candidamente che non sapeva più come portar avanti il colloquio con la premier italiana che non la finiva più di dare aria ai denti. Così Mantovano viene sbertucciato dal Fattoquotidiano.it: “Su Radio24, descrive la vicenda come una trappola di intelligence architettata da Mosca e abilmente schivata dalla capa del governo: “C’è stato un tentativo di farle fare qualche errore di comunicazione che invece non c’è stato, perché Meloni dice in privato le stesse cose che dice in pubblico”, afferma. ‘’Un punto di vista singolare, dato che fin dal suo insediamento la leader di FdI ha deriso chiunque chiedesse di fermare le armi, insistendo sul sostegno all’Ucraina “fino alla vittoria”. Ai due zuzzurelloni para-africani ha raccontato invece che la controffensiva ucraina non sta andando come ci si aspettava ed è necessario trovare una “via d’uscita accettabile” dalla guerra”. Silenzio assordante invece sull’altro tema della conversazione: il rapporto dell’Africa con la Francia sulla rivolta nel Niger, durante il quale la Sora Giorgia sprizza tutta la sua inossidabile animosità contro l’alleato europeo Macron. Da sottolineare in rosso che l’affare Niger non era stato minimamente sollevato dai due para-comici di Putin, lo ha inserito lei. Ora la diplomazia dell’Eliseo, come vuole un’antica tradizione, non ha ribattuto alla telefonata della Meloni. A Parigi sanno che mettere in campo l’ennesimo scontro franco-italiano, non porterebbe in questo momento a nulla di buono. Macron lo tirerà fuori al tempo debito. Magari in Commissione europea. Quando chiederà ai suoi alleati popolari e socialisti: è affidabile un premier che in pubblico afferma il suo atlantismo filo-Biden e in privato dichiara il contrario, come una Orban in gonnella? Un quadro disastroso che per ora non avrà gravi conseguenze solo grazie all’offensiva criminale di Hamas. Meloni dovrebbe infatti portare un cero alla Madonna di Pompei per la terribile guerra in Israele che non permette né ai mercati attraverso le agenzie di rating né all‘Unione Europea di chiudere i rubinetti e gettare nella spazzatura un paese nevralgico per la geopolitica del Mediterraneo. Ma prima o poi, arriverà, se non la pace, un cessate il fuoco sia in Ucraina sia a Gaza e allora si regoleranno i conti con la Ducetta e la sua inadeguatezza politica.