RASSEGNA STAMPA – Salvini smania in cerca di voti…

CI PROVA CON LA PACE FISCALE, AVENDO INDIVIDUATO CHE 15 MILIONI DI ITALIANI HANNO PROBLEMI COL FISCO, MA NELLA MAGGIORANZA DI GOVERNO GLI FANNO IL VUOTO INTORNO, A COMINCIARE DAL MINISTRO DELL’ ECONOMIA, GIANCARLO GIORGETTI, CONSIDERATO IL NUMERO DUE DELLA LEGA. GIORGETTI SULLA PACE FISCALE FA RISPONDERE AL DIRETTORE GENERALE DELL’AGENZIA DELLE ENTRATE IL QUALE AFFERMA CHE CONTRASTARE L’EVASIONE FISCALE RENDE GIUSTIZIA AI CITTADINI CHE LE TASSE LE PAGANO. PARTITE IVA ED EVASORI FISCALI SONO IL TARGET POLITICO DI MATTEO SALVINI CHE COMPRENDE, DAI TAXISTI AI BALNEARI, IL PEGGIO DEL CORPORATIVISMO ITALICO. UN ELETTORATO DI RIFERIMENTO IN CUI PERÒ È LA MELONI A FARLA DA PADRONA.

DAGOREPORT

Come insegna Umberto Bossi, per fare un partito, a volte, basta una battutaccia: “Roma ladrona”, “Valigia di cartone fa rima con terrone”, l’irresistibile “La Lega ce l’ha duro”, etc. Oggi, lo slogan che potrebbe risuonare tra i denti di Matteo Salvini è un rimbombante “Meno Meloni per tutti”. Per comprendere come si è incagliato il nuovo potere sbarcato a Palazzo Chigi, è necessario fare un salto indietro. I risultati delle urne fanno girare vertiginosamente le palle a Matteo Salvini (Lega gregaria all’8%) e la testa a Giorgia Meloni (Fratelli d’Italia, primo partito col 26%), un risultato che solo dopo aver ingollato un acido avrebbe potuto immaginarlo. Una volta poggiato il sederino sulla poltrona di premier, i guai per la Meloni non sono arrivati da un’opposizione quanto mai ego-sparpagliata e priva di leadership, bensì dal suo alleato di coalizione. Certo, una volta sbarcata a Palazzo Chigi, il carattere della Ducetta, ancora con la testolina in via della Scrofa (“Io so’ Giorgia e te corco”), ha prevalso sul suo talento. Diffidente di tutto e di tutti, nei decenni di opposizione invece di svezzare una futura classe dirigente all’altezza la “Reginetta della Garbatella” si è dilettata a urlare “NO!” a tutto e a tutti ed oggi si ritrova al potere circondata da quattro ciucci, non solo inadeguati ma privi di ramificazioni negli apparati dello Stato. Pensate che il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio – carica fondamentale tant’è che giura nelle mani del Capo dello Stato, al pari un ministro – doveva essere il factotum di Giorgia Meloni, Giovanbattista Fazzolari, da lei considerato “la persona più intelligente che abbia conosciuto”. Ma dieci giorni prima del varo del primo governo guidato da una donna, Gianfranco Fini indottrinò la sua ex pulzella Meloni: dove pensi di andare senza un uomo che sappia collegare Palazzo Chigi al Deep State (Quirinale, Consiglio di Stato, Corte dei Conti, Servizi segreti, Ragioneria dello Stato, etc)? Un potere invisibile che non va a perdere tempo nei talk o sui giornali, ma che è il motore che manda avanti la macchina dello Stato senza il quale, cara Giorgia, tu puoi girare il volante quanto vuoi ma resti ferma al chiodo. Per capire l’antifona basta ricordare come sono miseramente affondati il governo di Renzi, che si permise di nominare il capo dei vigili urbani di Firenze a capo del legislativo di Palazzo Chigi, a seguire quello gialloverde di Conte e Salvini. Ovviamente, da solo, Mantovano non basta a fare un governo, vedi i casi Delmastro-Donzelli, Santadeché, La Russa, Nordio. Né tantomeno riesce a tenere a bada le intemperanze di Salvini. Come è avvenuto ieri al Consiglio dei ministri. In un primo momento, la Sora Giorgia non avrebbe dovuto presiedere la riunione del governo, ma prima di partire alla volta di Bruxelles per il vertice Ue-Celac il ministro per gli Affari Europei Raffaele Fitto ha consigliato alla premier di chiamare urgentemente Ursula von der Leyen. Al telefono, il presidente della Commissione europea ha fatto presente a Giorgia che la questione balneari andava risolta una volta per tutte, pena l’addio alla terza tranche del Pnrr. A quel punto, capita l’antifona, la Ducetta ha deciso di presenziare il Consiglio dei ministri, anticipando alle 17 (era in agenda alle 18) e infilando all’ultimo istante anche il decreto legislativo di attuazione della delega per la mappatura e la trasparenza dei regimi concessori di beni pubblici, tra i quali quelli dei balneari. Insomma, la premier non ha ceduto completamente al diktat di Bruxelles per non far girare i cojoni a Lega e Forza Italia, ma la mappatura è l’ultimo passo prima che le concessioni esistenti verranno messe a gara e riassegnate come da tempo ci chiede Bruxelles. Ma l’irritazione di Salvini verso Giorgia è scattata prima, quando all’ultimo minuto gli è stato comunicato l’anticipazione di un’ora del CDM: il leader della Lega e vice premier ha sbuffato apertamente di non essere a disposizione dell’agenda di Meloni. E’ questo solo l’ultimo attrito del duello in corso tra i due galletti. Ogni giorno Salvini s’impegna a indebolire l’immagine straripante della Ducetta: e vai con la foto in volo con Ryanair per screditare i viaggi di Stato di Giorgia Meloni per raggiungere i sollazzi della masseria pugliese. Il giorno prima Salvini aveva innescato un bel casino acchiappa-consensi lanciando il sasso della ‘’pace fiscale’’, il solito condono definito addirittura una delle priorità del governo, pur essendo la delega fiscale già stata approvata dal Parlamento. “Ci sono ad oggi 15 milioni di italiani che hanno fatto la dichiarazione dei redditi, ma hanno un conto aperto con l’Agenzia delle entrate”, ha tuonato. “Non posso pensare che un terzo degli italiani, tolti i minorenni, sono persone che hanno avuto un problema con il fisco, non ce l’hanno fatta a pagare tutto quello che dovevano. Dovrebbero essere aiutati non condannati. Poi gli evasori totali per quanto mi riguarda vanno in galera”. Né Meloni né Tajani l’hanno degnato di un commento. Tantomeno il ministro leghista che occupa la super poltrona del ministero del Tesoro, Giancarlo Giorgetti, muto come un pesce. Al suo posto, Giorgetti ha fatto intervenire il vice ministro del Tesoro, in quota Fratelli d’Italia, Maurizio Leo. Quindi il direttore dell’Agenzia delle Entrate, Ernesto Maria Ruffini, che ovviamente l’ha rispedita con un calcione al mittente: “Questo deve essere chiaro: il contrasto all’evasione non è volontà di perseguitare qualcuno. L’Agenzia è una amministrazione dello Stato, non un’entità belligerante”. Il problema, in politica, è che la ruota gira, e oggi Salvini non si fa scrupoli nelle cene meneghine di preconizzare le prossime dimissioni della ditta d’affari La Santa-La Russa, che sta incrinando l’immagine giustizialista del partito di casa Meloni. E Salvini non dimentica nulla e ricorda ancora con rabbia le parole della Pitonessa all’indomani della conquista della Regione Lombardia da parte di Fratelli d’Italia: “Fontana si abitui a noi”. Che volete, quella che era la roccaforte del Carroccio era finita nelle manine della premiata ditta Fratelli Ignazio e Romano La Russa che, con la Dani, miravano ad ibernare il presidente Attilio Fontana, strappandogli l’assessorato più ricco d’Italia, la sanità, spedendo Bertolaso tra gli alluvionati dell’Emilia-Romagna e sostituendolo con il fido Mantovani. E visto che la Meloni si trova bene a intrigare con Tajani-Letta, Salvini ha messo gli occhi sulla crisi interna del dopo-Berlusconi che sta incrinando Forza Italia e avrebbe riprese a dialogare con Licia Ronzulli, che è ritornata in auge dopo il siluramento della Marta Fascina da parte della famiglia di Arcore. Ma il peggio deve ancora arrivare: da qui al giugno 2024, data del voto europeo, il duello tra Giorgia e Matteo ci regalerà un casino al giorno.