RASSEGNA STAMPA

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LA DIREZIONE DEL PD CONVOCATA DA ENRICO LETTA PER PROGRAMMARE LE FASI DEL CONGRESSO FISSATO PER MARZO HA MESSO IN EVIDENZA MUGUGNI E PRESE DI DISTANZE. PREVALE LA CONSIDERAZIONE DEI TEMPI TROPPO LUNGHI. MENTRE IL MEDICO STUDIA LA CURA IL MALATO MUORE. LETTA HA ANNUNCIATO ALL’INDOMANI DELLA SCONFITTA ELETTORALE CHE NON SI RICANDIDERÀ ALLA SEGRETERIA MA NON VIENE CONSIDERATA UNA RAGIONE VALIDA PER SPIEGARE I TEMPI LUNGHI. FINO A MARZO M5STELLE E TERZO POLO HANNO GIOCO FACILE A “SPOLPARE” UN PD IN ATTESA DI EVENTI. NEL FRATTEMPO C’È DA FARE OPPOSIZIONE ALLA MELONI E IL PD, ALLE PRESE COL CONGRESSO, CONTINUEREBBE A PERDERE NEI SONDAGGI CHE RIFLETTONO LE ASPETTATIVE DEGLI ITALIANI NEL VEDERE RISOLTI I PROBLEMI DI TENUTA ECONOMICA FRA CAROVITA E CRISI ENERGETICA.

1 – PRIMARIE A MARZO, IL PD RESTA IN COMA

Domenico Di Sanzo per “il Giornale”

Si scrive «congresso costituente», si legge seduta di autocoscienza collettiva lunga quattro mesi. Dopo le indiscrezioni di giovedì sera, il segretario del Pd Enrico Letta conferma le tempistiche bibliche per l’elezione del nuovo leader. E quindi primarie domenica 12 marzo, quando a confrontarsi nel voto degli iscritti saranno due candidati. Prima della fatidica data, di fatto, i dem saranno in apnea. In una lunga fase di transizione, stretti in una tenaglia tra il Terzo Polo e il M5s. In direzione è lo stesso Letta a dipanare le tappe di un percorso lunghissimo, che partirà il 7 novembre con un «appello alla partecipazione». «Nel mese di gennaio, quanto basta per una riflessione approfondita, avremo un manifesto dei valori e dei principi, frutto del lavoro complessivo», spiega il segretario uscente, che prende per sé il ruolo di «arbitro» della fase congressuale. Dunque, l’analisi della sconfitta alle ultime politiche durerà fino al 28 gennaio, termine entro cui dovranno essere presentate le candidature alla segreteria nazionale. Poi, scandisce Letta, «ci si confronterà tra gli aderenti, come indica lo statuto, con un voto». Infine le primarie, «per le quali ho pensato alla data del 12 marzo». Dopo aver deposto una corona di fiori sulla lapide di Giacomo Matteotti, nella data del centenario dalla Marcia su Roma, Letta apre «il percorso costituente» del Pd. Ma dietro la retorica della riflessione profonda, si nascondono le solite trappole interne. Non a caso il candidato in pectore degli ex renziani, il governatore dell’Emilia Romagna Stefano Bonaccini, mette in guardia: «Stiamo attenti a non perderci in discussioni filosofiche mentre gli altri governano. Evitiamo l’abbaglio secondo cui servano tempi infiniti per la rigenerazione del Pd». Bonaccini ancora non annuncia la sua discesa in campo, ma l’avvertimento segna l’inizio della sfida. Il timore, tra i riformisti, è che la dilatazione dei tempi congressuali serva alle altre correnti a far dimenticare il tonfo del 25 settembre e a riannodare i fili di un dialogo con un M5s che ha superato il Pd nei sondaggi. «Il congresso costituente non si fa in poche settimane», dice infatti il sindaco di Firenze Dario Nardella. Nardella, già vicinissimo a Renzi, si candiderà per la leadership, ma sarà appoggiato dalla corrente di Dario Franceschini e da parte dei Giovani Turchi di Andrea Orlando e Matteo Orfini. Nel mischione degli aspiranti segretari anche l’ex ministro Orlando, che per organizzarsi vorrebbe allungare ancora di più i tempi della fase congressuale, oltre il 12 marzo. Letta ripete l’ovvio: «Siamo all’opposizione», quindi preferisce chiudere ancora le porte ai moderati di centrosinistra come Matteo Renzi e Carlo Calenda. «Parte dell’opposizione ha già trasferito le tende nella maggioranza, non ci faremo prendere in giro», attacca il Terzo Polo. Dimenticate, invece, le stilettate riservate a Giuseppe Conte durante la campagna elettorale. A sinistra, da Giuseppe Provenzano a Nicola Zingaretti fino a Goffredo Bettini, pensano ancora a un’alleanza con il M5s. Qualche segnale in questo senso si potrebbe cogliere venerdì 11 novembre a Roma, quando Bettini presenterà il suo libro «A sinistra da capo» insieme a Orlando e Conte. E però, per il momento, dagli stellati arrivano solo sfide a viso aperto, come l’ipotesi di candidare alla presidenza del Lazio in quota M5s uno tra i due ex Pd di peso Stefano Fassina e Ignazio Marino. A Letta non resta che sparare sul premier Giorgia Meloni. Parla di «scelte superficiali e irresponsabili» da parte del governo su Covid e vaccini. Anche sul tetto al contante, per il segretario, siamo davanti a «un pericoloso liberi tutti».

IL PD STRITOLATO TRA I 5STELLE E RENZI

Elisa Calessi per “Libero quotidiano”

Basta farsi «spolpare», come ha detto Matteo Orfini, da Terzo Polo e M5S. Bisogna «rispondere colpo su colpo», perché «non se ne può più». A ormai più di un mese dalle elezioni, reduce da settimane in cui si è fatto da punching ball di Terzo Polo e Cinquestelle e la proposta del coordinamento delle opposizioni è caduta nel vuoto, il Pd prova a cambiare rotta. Anche perché i sondaggi sono spietati: la linea tenuta dal voto a oggi non ha pagato. Il M5S rischia di sorpassare i dem e il Terzo Polo cresce. E così la direzione convocata da Enrico Letta per fissare la road map del congresso (le primarie si terranno il 12 marzo) diventa anche l’occasione in cui si prova a cambiare direzione di marcia nel fare l’opposizione. Non sono solo i dirigenti, di tutte le correnti, a chiederlo. Consapevole che occorre dare una svolta, uscire dall’incubo di un Pd stretto tra l’incudine (Terzo Polo) e il martello (M5S), è anche Enrico Letta che, già nella relazione di apertura, mette a tema proprio questo. «Abbiamo cominciato e dobbiamo farlo ancora di più a cambiare il nostro vocabolario e il nostro pensiero rispetto ad anni in cui siamo sempre stati al governo. Oggi entriamo in una nuova fase della nostra storia. Una storia di opposizione». E lo spazio per farlo, dice, c’è. Per esempio su Covid ed estensione del contante. Gli annunci fatti dal governo Meloni su questi due temi, dice Letta, sono una «retromarcia» profondamente «sbagliata», il messaggio è «liberi tutti». Nei toni, nei tempi. «È un liberi tutti che aiuta chi può evadere contro chi non può o non vuole evadere». Così come non crede a una Meloni europeista e atlantista. E poi, aggiunge, «non ha mai pronunciato la parola “pace”». Dunque, basta fare i “buoni”. Bisogna fare una opposizione vera, dura. «Repubblicana, responsabile», ma determinata. Soprattutto, mai più sotto scacco delle altre due opposizioni. Che, si è capito, vogliono spartirsi le spoglie del Pd. «Noi saremo sempre disponibili a coordinarci con le altre opposizioni», ma non «a farci prendere in giro e a inseguire chi ha altre agende». Si rivolge, senza nominarlo, a Matteo Renzi: «Lo dico a quella parte dell’opposizione che ha già trasferito le tende accanto alla maggioranza, in attesa di poter sostituirne una parte». Una opposizione che «di opposizione non ha più assolutamente nulla» perché se uno interviene in Parlamento e «passa tre quarti del suo tempo a parlare male dell’opposizione è semplicemente una stampella della maggioranza». Quanto a Conte, allude a lui nella replica. «Se qualcuno vuole giocare a fare il cavalire solitario, allora faremo per conto nostro». Per il resto, assicura che farà da «arbitro» nel congresso, ma sarà una «guida determinata» dell’opposizione, fino a che non si sceglierà il prossimo segretario. E su come rispondere al governo Meloni, su come “reinventarsi” nel ruolo di minoranza, il dibattito si accende. «L’inizio», attacca Orfini, «non è stato buono. Perché non abbiamo saputo leggere il cambio di fase». Va bene «attaccare il Terzo Polo, ma è assurdo non aver replicato all’intervento intriso di ipocrisia e trasformismo di Conte». Usciamo da questa «relazione tossica coi Cinquestelle». Durissimo anche Luigi Zanda: «Dobbiamo rispondere colpo su colpo alle provocazioni di Conte e Renzi». E ne parla anche Stefano Bonaccini, pronto a candidarsi alla guida del Pd. «Per la prima volta abbiamo alla nostra destra e alla nostra sinistra due alternative possibili. Ed è la prima volta che temo che il Pd non abbia un futuro scontato». Più che la «cornice», dice, dobbiamo definire «il quadro». La discussione si infiamma anche sui tempi del congresso. Letta fissa un percorso che inizia il 7 novembre per poi passare da una assemblea a metà mese. Il manifesto dei valori arriverà a gennaio e, subito dopo, ci sarà il voto per scegliere i due candidati che si confronteranno alle primarie, il 12 marzo. «Fidatevi, è la soluzione più equilibrata», dice. Chi sostiene Bonaccini, però, avrebbe preferito tempi più corti. «Sei mesi dal giorno delle elezioni per fare un congresso», dice Orfini, «sono una enormità». Mentre la sinistra (che è senza un candidato forte) puntava su tempi più lunghi. Un altro tema sollevato in diversi interventi è quello dell’autonomia differenziata: se il Nord (Piero Fassino) è a favore, il Sud (Francesco Boccia e Provenzano) per niente.