LA VECCHIA POLITICA NON CONVINCE PIU’…….

Si possono voltare e rivoltare quanto si vuole i numeri usciti dalle urne e dare le spiegazioni più arzigogolate sui successi mancati e le sconfitte subite, definite anche “non vittorie”, ma il tasso dell’astensionismo è lì a dire che la politica è in crisi, che i cittadini non trovano motivazioni sufficienti per esercitare il diritto di voto e che, nella migliore delle ipotesi, se ne stanno a guardare per vedere come va a finire. Cioè impotenti e rassegnati. Si dirà che nell’astensionismo bisogna calcolare chi preferisce andare al mare, organizzare il battesimo o la cresima del figlio (avevamo dimenticato che giugno è il mese preferito), recuperare il tempo libero sacrificato alla pandemia e far prevalere le piccole o grandi ragioni della nostra quotidianità ma tutto questo non spiega il rifiuto del voto.

Se per i quesiti referendari, cui ha partecipato meno del 21 per cento del corpo elettorale, possono valere ragioni obiettive come l ‘approssimativa organizzazione della campagna, il silenzio complice dei media arruffianati col partito dei giudici, la vergognosa messa in onda in orari impossibili delle tribune elettorali della RAI, la difficile o non facile comprensione dei quesiti per come formulati e infine l ‘accentuata connotazione politica leghista come partito proponente, per il voto amministrativo tutto ciò non ha avuto incidenza. Il dato di fatto è che è andato a votare poco più del 45 per cento degli aventi diritto.

Per altro il voto amministrativo è per sua natura un voto di contatto nel senso che si conoscono i candidati, le loro storie, le appartenenze e le mutazioni politiche, la posizione e il ruolo nella società, l’affidabilità nel servire le istituzioni. Non è un voto politico in senso stretto e meno che mai ideologico. E’ pur vero che nel voto di domenica non erano pochi i candidati che si presentavano con storie politiche rovesciate, cioè da sinistra a destra e viceversa. Ma destra e sinistra già da tempo hanno perso significato man mano che i partiti si sono sempre più personalizzati e sono diventati espressione del leader in ascesa.

Fra le ragioni che tengono gli elettori lontani dal voto probabilmente gioca un ruolo determinante il convincimento che il voto dato non garantisce il cambiamento e meno che mai l’attuazione del programma nel quale il candidato si identifica. Negli anni la politica ha dimostrato che procede per logiche interne ai partiti e non per dare risposte concrete alle aspettative del corpo sociale.

Il parlamento, per parte sua, si è screditato da solo insabbiando nei cassetti o rinviando riforme lungamente attese e rinunciando a far valere le sue prerogative in una repubblica parlamentare, per concentrarsi in dispute astratte e risse propagandistiche per strappare qualche punto nei sondaggi. Meno che mai gli italiani si sentono rappresentati da chi siede in parlamento per nomina partitica (liste bloccate) o per aver vantaggiosamente incrociato l’antipolitica, assurgendo da commesso di bottega a legislatore .

La politica non riesce più a coinvolgere, non convince e sopravvive a se stessa fra privilegi e rendite di posizione. Bisogna, probabilmente, inventarsi nuove forme di partecipazione che diano risposte credibili alle sollecitazioni che nascono dai problemi reali che il cittadino vive quotidianamente. I quesiti referendari erano formulati male ma sarebbe una forzatura sostenere che il cittadino non abbia consapevolezza delle disfunzioni della giustizia, penale e civile, dei tempi lunghi, delle inchieste mirate, dei molti innocenti che hanno scontato galera, degli scandali che non risparmiano nemmeno la magistratura.

Se la parte buona del Paese è soprattutto in quel 55-60 per cento che non va a votare è inevitabile che nel 40-45 per cento che va a votare si annidano le lobby, le clientele, i comitati d’affari, il notabilato locale col suo seguito famelico di favori e privilegi. E’ questa la vera responsabilità che grava sull’astensionismo di massa per come lo stiamo vivendo. E’ pur vero che non bisogna generalizzare ma gli arresti avvenuti a Palermo a pochi giorni dal voto e i tanti comuni sciolti per infiltrazioni mafiose debbono far riflettere. E la soluzione non sono certo gli “impresentabili” segnalati dall’Antimafia, operazione da “vetrina politica” che non scalfisce l’influenza della criminalità sul voto. Impresentabili sono diventati i partiti per come si propongono e agiscono, autoreferenziali e sempre più lontani, in termini di valori e di diritti, dalla base sociale da cui hanno tratto storicamente immagine e identità.