VOCABOLARIO TELEVISIVO : IL FILOSOFO E LA ” MARCHETTA”…..

VOCABOLARIO TELEVISIVO :  IL FILOSOFO E LA “ MARCHETTA”……

Si dirà che, prima ancora dei social, avevano provveduto i comici a sdoganare taluni termini e un certo linguaggio diretto, espressivo e di largo uso popolare per cui sui patri schermi è ormai “normale”l’utilizzo di parole come cazzo, vaffanculo,rompere i coglioni, cagare e via di seguito segnando così un confine netto e un distacco siderale dalla tv democristiana e bernabeiana che  proibiva persino, nel linguaggio televisivo, di usare il termine “membro” anche quando si trattava di un consiglio di amministrazione.Tempi andati, da non rimpiangere, quando il controllo della comunicazione era in mano a legioni di bacchettoni che avevano nella Democrazia Cristiana l’editore di riferimento”. Di strada se n’è fatta,quindi, e il resto lo stanno facendo i social che hanno preso il posto delle pareti dei cessi delle stazioni ricoperti di simboli fallici ed evocazioni connesse a un turpiloquio ritenuto liberatorio.

Questo per dire che difficilmente ci si può scandalizzare se comici in ascesa e più ancora comici in discesa ci intrattengono con l’ammiccamento di parole trasgressive. Ma stiamo parlando di comici, di cessi di stazione e di social dediti al linguaggio irriverente ritenuto verosimilmente più democratico in quanto più “popolaresco”.Dietro l’uso del linguaggio spinto è legittimo pensare che ci sia probabilmente povertà di vocabolario prima ancora  del rifiuto del linguaggio civilmente condiviso.

Questo per dire che non è la parola “ marchetta” usata dal filosofo Massimo Cacciari, nel salotto de la 7 con la Gruber, ad averci sorpreso quanto che fosse un intellettuale del calibro di Cacciari, certamente non povero di vocabolario, a utilizzare un termine familiare nelle caserme e nelle sale di biliardo, per chiosare l’orientamento del governo di aumentare le spese militari per adeguarsi ai parametri della NATO. Non è in discussione il dissenso ma la caduta di stile, la banalizzazione dell’argomento, l’ammiccamento ai frequentatori del bar sotto casa moltiplicatori di consensi diversamente non raggiungibili con un linguaggio forbito o tecnico-politico.

Chi nel 1957 non aveva raggiunto la maggiore età e le generazioni che sono seguite non hanno avuto modo di sperimentare la “marchetta” poiché in quell’anno la “ legge Merlin”, che porta il nome di una deputata socialista, decretò la chiusura dei postriboli  in quanto luoghi di prostituzione e di commercio di pratiche sessuali. La “marchetta” era il gettone che la prostituta riceveva dal cliente per la prestazione comprata .A fine giornata la quantità di marchette messe insieme costituivano l’incasso prodotto e l’appeal riscontrato nei clienti. Semplificando “marchetta” sta metaforicamente e figurativamente a significare il prostituirsi dietro pagamento o comunque  per trarre un vantaggio o ottenere benevolenza.

Resta da vedere perchè Massimo Cacciari, certamente dotato del linguaggio asettico e rigoroso del filosofo nonché dell’ eleganza che una cultura fuori discussione gli consente, abbia avuto la necessità, per criticare il governo e la Nato, di ricorrere a un termine che verosimilmente non ricorre  più nemmeno nelle caserme atteso che ,dopo la legge Merlin, i militari in libera uscita non hanno più avuto la possibilità di compensare  nei postriboli l’astinenza della naja. (Nella foto Massimo Cacciari )