«Il mio nome li ha spaventati, io avrei giocato per vincere…»

«Il mio nome li ha spaventati, io avrei giocato per vincere…»

Fonte www.ilfattodicalabria.it

Enzo Ciconte confessa al quotidiano “Domani” tutta la sua amarezza. «Alcuni settori del Pd calabrese non potevano reggere la mia proposta, poi il “no” è arrivato da Conte e Letta. La verità è che questo nucleo di potere trasversale con il centrodestra punta solo a perdere e a gestire i posti della minoranza in consiglio». «La Calabria vera è altro, molto meglio della sua penosa classe dirigente. Guardate Spirlì, il punto più basso. Ci fa vergognare di dirci calabresi…»

«Quando gli amici che proponevano il mio nome si entusiasmavano troppo, li frenavo. Guardate che alcuni settori del Pd calabrese non ce la fanno a reggere la mia proposta, gli dicevo. Poi ho scoperto che anche al Nazareno avevano lo stesso problema. Loro giocano a perdere e a spartirsi i dodici posti che toccano alla minoranza, io avrei giocato per vincere. L’annuncio della mia candidatura aveva già smosso le acque e rimotivato fette di eletto rato democratico che non votano, oppure che guardano con interesse alle liste di de Magistris. Insomma, si combatte per vincere, non per conquistare qualche consigliere di opposizione e fare inciuci con chi governa». Enzo Ciconte non se la “tiene” più. Sto rico, sì. Prof. ovviamente. Ex deputato e cultore della sinistra conterranea inclusa la “palestina” delle trasformazioni nella terra di nessuno. Insomma sobrio e razionale quanto si vuole ma al quotidiano “Domani”, e ad Enrico Fierro, concede una intervista che sa anche molto di scatole che sono girate per davvero stavolta. Non prima d’aver ricordato la “curva” di ultras che ha fatto e fa il tifo per lui…«Nei mesi scorsi tante persone, sempre in via riservata. Messaggi, telefonate, appelli e mozioni affettive, di chi sa l’amore che mi lega alla Calabria, la mia terra. Era più un ambiente civico che politico. Ma un nome e cognome posso farlo, quello di Jasmine Cristallo, la leader delle sardine calabresi, che ne ha anche parlato pubblicamente». C’è una telefonata galeotta che ha legato Ciconte al sogno di smontare la regione, e poi la Regione. «Mi ha chiamato Boccia. È stata una piacevole conversazione sul Sud e sulla Calabria in particolare. Mai nessuna proposta formale. Fu una telefonata un po’ così…». G ià, un po’ così. A posteriori forse depistante. Ma c’è stato “l’aggancio” tra Boccia e Ciconte. «Poi il no nei miei confronti. Giuseppe Conte, Enrico Letta, e settori dei gruppi dirigenti del Pd calabrese non hanno “retto”. Diciamo che è stato un no congiunto, unitario». Quindi la sconfitta preventiva e “industriale” come schema, «io avrei giocato per vincere. Del resto lo schema Irto era lo stesso: perdiamo, ma onorevolmente. La candidatura di oggi ripete lo schema Callipo (l’industriale del tonno candidato alle scorse regionali, ndr): andiamo a perdere e basta. Non hanno in mente l’obiettivo ambizioso di scardinare un sistema di potere che è il vero cancro della Calabria. Letta e Conte avevano l’occasione per farlo. Non lo hanno voluto fare. Punto». Spazio , inevitabile, ai feudi di Calabria allora. La “conservazione” della specie…«Feudi che si combattono tra di loro, è questa l’immagine che hanno offerto in questi anni. Sentite gli iscritti e vi racconteranno cose strabilianti». Cose concrete magari. Anche perché Ciconte non ha un disegno accademico del potere e al quotidiano “Domani” lo immortala così in Calabria…«Una commistione tra politica, settori dell’economia, pezzi di massoneria e di ‘ndrangheta, che sta condizionando da anni la vita e il futuro di questa regione. Ci sono anche pezzi importanti di società civile legati all’intervento pubblico, quindi alla politica. Penso ad ingegneri, architetti, avvocati, medici, legati al potere politico in modo non trasparente. Ecco perché un nome non basta, tu devi proporre una alternativa, devi scomporre questo sistema di interessi e riaggregare le forze sane attorno ad un progetto di futuro. Cambiando subito l’immagine e la narrazione della Calabria. È tutto mafia, è tutto ‘nduja, peperoncini, sole e mare. No n è così. La Calabria è cambiata, non sono cambiate le classi politiche dirigenti. La Calabria non conta un tubo in Italia perché ha una classe politica screditata. Il punto più basso lo abbiamo raggiunto con Nino Spirlì, il facente funzione che oggi il centrodestra ripropone in ticket con Roberto Occhiuto. Questo signore ci ha dato il colpo di grazia, ci fa vergognare di dirci calabresi…». Ovviamente c’è la ‘ndrangheta nella narrazione del rammarico…«Se non fai battaglie, se sulla lotta alla ‘ndrangheta deleghi tutto alla magistratura, ripiombi nel baratro del passato. C’è bisogno di una Calabria che sappia pretendere quello che le spetta senza andare a Roma col cappello in mano. Ci vogliono classi dirigenti capaci di immaginare il futuro, di costruire prospettive di sviluppo in grado di guardare all’Europa e al mondo». Finché ripiombando negli inferi Ciconte non dice tutto quello che pensa sul Pd conterraneo…«Ricorri al casting quando non hai un progetto, una idea di futuro. In quel momento punti sul nome. In quel momento, però, la politica ha perso, è diventata un’altra cosa. La verità è che il Pd calabrese, parlo di elettori e iscritti, è stato tagliato fuori dalle decisioni. Qui tutto è commissariato, la sanità e i partiti». E il futuro di questo elettorato ora? «Sono uomini e donne. Intellettuali, lavoratori, attivisti politici e della società civile, che da anni si battono per cambiare la Calabria. Cosa faranno? Una parte voterà per de Magistris, che, comunque la si pensi, è visto come una alternat iva, altri ingrosseranno le fila del non voto. Che dire? Conte, Letta e i loro referenti calabresi hanno fatto un capolavoro…».