DA ALDO MORO ED ENRICO BERLINGUER A MATTEO SALVINI E LUIGI DI MAIO……

DA ALDO MORO A MATTEO SALVINI E LUIGI DI MAIO……

Oltre che per la ricorrenza della strage di Via Fani e dell’assassinio avvenuto 55 giorni dopo,Aldo Moro è tornato sulle prime pagine dei giornali e nei servizi televisivi anche per un parallelo politico fra la situazione del 1976 e quella di oggi all’indomani del voto del 4 marzo.Quanto alla strage,al sequestro e all’assassinio di Aldo Moro e della sua scorta la versione fornita a 40 anni di distanza continua a non convincere e resta torbida e inquietante. Lo è ancor di più dopo avere visto e ascoltato su la 7 di Enrico Mentana  i sedicenti protagonisti di quell’operazione politico- militare. A parte l’oltraggio  insopportabile di vederli  seduti in confortevoli tinelli  con arredo domestico  sollecitati a ricostruire le fasi della strage e del sequestro, come se fossero testimoni di una vicenda che  riguardava altri e di cui erano soltanto  a conoscenza, la percezione che si è avuta è quella di una evidente inadeguatezza  dei 4 brigatisti  a gestire da soli un’operazione  che scuoteva lo Stato dalle fondamenta e che metteva in gioco delicati interessi internazionali .La verità di Stato, che fa propria la versione fornita dal  memoriale di Valerio Morucci e Adriana Faranda, non ha mai convinto e meno che mai convince dopo  la  ricostruzione di comodo  consentita ai 4 brigatisti  da la 7. Bisognerà, probabilmente, aspettare che decorrano i termini perché gli USA tolgano il segreto di Stato ai loro archivi e forse sapremo come è andata effettivamente in quei 55 giorni che hanno insanguinato  la nostra storia con effetti  devastanti.Non siamo così ingenui da non capire quale fosse la posta in gioco di quella vicenda e, quindi,da quanti e quali segreti di Stato deve rimanere coperta ma non è una ragione sufficiente per rinunciare a pretendere la verità.Prima o poi verrà fuori.

L’altra vicenda che ha come figura centrale Aldo Moro  è la crisi politica del 1978 in cui trovò forma e sostanza il “compromesso storico” voluto  da Aldo Moro per la Dc e da Berlinguer per il PCI. Non era un’alleanza ma l’allargamento della base democratica del governo dopo le elezioni del 76 che avevano visto DC e PCI incontrastati vincitori. Per Moro era il passaggio necessario per stabilire il principio di alternanza fra le due maggiori forze politiche in campo.Invece,in una semplificazione strumentale, la si etichettò come l’apertura ai comunisti con tutto ciò che implicava nei delicati equilibri politici  dello scacchiere internazionale.E  la risposta fu la strage di Via Fani e il suo tragico epilogo. La riproposizione oggi di Aldo Moro sulla scena mediatica, con i suoi interlocutori di allora(Berlinguer,Fanfani,Craxi in primis)  stimola il confronto con i protagonisti della scena politica di oggi.Non è tanto il doppiopetto di Moro a confronto con la felpa e la camicia fuori dai pantaloni di Salvini, diversamente il confronto non riguarderebbe Luigi Di Maio sempre rigorosamente in giacca e cravatta.Il confronto riguarda la personalità,lo spessore del  pensiero politico, l’ancoraggio  ai problemi reali del Paese e alla sua governabilità.Il senso dello Stato e della democrazia innanzitutto.Ora non si vuole fare il torto a Salvini e Di Maio di non avere alle spalle studi di livello universitario e una cultura di governo maturata nei percorsi che i partiti della Prima Repubblica  mettevano alla base di una carriera politica.C’erano i “peones”-è vero- ma ubbidivano ai leader di riferimento. Di Maio e Salvini comunicano, con il loro approccio ai problemi del Paese, una inadeguatezza di fondo  nel momento in cui dalla propaganda e dalle promesse demagogiche passano agli obiettivi di governo. Scendendo per li rami lascia perplessi constatare che alla seconda carica dello Stato, cioè alla presidenza del Senato,il M5Stelle candidi Toninelli e a ministro della Giustizia Bonafede, prototipi di supponenza e faziosità.Più in generale la differenza,di personalità e di cultura di governo, riguarda tutta la rappresentanza irrompente delle formazioni populiste.Nei  partiti tradizionali o in ciò che ne resta la situazione è meno sconfortante ma il declino è in atto, la qualità della rappresentanza politica è molto scaduta, la clientela  ha sostituito la militanza e ai portatori di voti non si chiede da dove vengono e dove vogliono andare.La qualità della politica di oggi è certamente figlia della crisi dei partiti tradizionalmente intesi e, quel che è peggio, si fa finta di non accorgersene.Dalla fase di stallo comunque bisogna uscire.Fra il vecchio che arretra e il nuovo che avanza bisogna  elaborare e riconoscersi  in un progetto di società che deve riguardare tutti,nessuno escluso.