RASSEGNA STAMPA – Bruxelles aspetta le riforme dell’Italia….

BISOGNA ENTRARE NELL’ORDINE DI IDEE CHE AI TAVOLI DI BRUXELLES LE PARTITE POLITICHE NON SI GIOCANO CON LE FURBERIE DI SALVINI E LE TROVATE DEI RINVII IN ATTESA DI UN COMPROMESSO SPARTITORIO. DEFINITA LA PARTITA DELLE NOMINE AGLI ALTI LIVELLI DELLE PARTECIPATE PUBBLICHE È IN CORSO L’OCCUPAZIONE DELLA RAI PER METTERE LE MANI SUGLI SPAZI DI MAGGIORE ASCOLTO. MA BRUXELLES ASPETTA BEN ALTRO. IN PRIMIS LA RATIFICA DEL MES ( MECCANISMO DI STABILITÀ ECONOMICA ) PER IL QUALE MANCA SOLTANTO LA FIRMA DELL’ITALIA. A SEGUIRE LA RIFORMA DELLA GIUSTIZIA E LA MESSA SUL MERCATO DELLE CONCESSIONI BALNEARI. SULLO SFONDO LE ELEZIONI EUROPEE DEL 2024 RISPETTO ALLE QUALI L’ITALIA DELLA MELONI POTREBBE RIBALTARE GLI ATTUALI EQUILIBRI. INTANTO AL RITARDO PER LA FIRMA DEL MES SI AFFIANCA IL RITARDO NELL’EROGAZIONE DELLA TERZA TRANCHE DEL PNRR PER “COMPLICAZIONI TECNICHE”. LA REGIA DEL PNRR CONCENTRATA A PALAZZO CHIGI, A QUANTO PARE, NON CONVINCE BRUXELLES. SONO SEGNALI DA INTERPRETARE.

DAGOREPORT

Sfogliando i principali quotidiani italiani, sdbirciando talk e telegiornali, si ha l’illusione che gli ostacoli e i problemi del governo Meloni siano legati alle riforme istituzionali, al presidenzialismo, al contratto Rai di Fabio Fazio, alle beghe della famiglia Meloni-Paratore, etc. Tutte questioni, in realtà, che rappresentano una formidabile arma di distrazione di massa rispetto a tutti i veri nodi che Palazzo Chigi dovrà sciogliere di qui ai prossimi mesi. In barba a Mantovano, gran ispiratore delle riforme istituzionali, la questione principale che pende sulla testolina bionda della “Regina della Garbatella” è il rapporto con l’Unione europea. Stasera la premier decolla in direzione Islanda per il vertice organizzato a Reykjavik dal consiglio d’Europa (organizzazione estranea all’Ue, diversa dal Consiglio europeo), per discutere di Ucraina, e mercoledì volerà al G7 di Hiroshima, in Giappone: si tratta di due appuntamenti decisivi nei quali andrà definita la sua futura azione di governo. Come già accaduto per Giorgetti a Tokyo, anche Giorgia Meloni, in Islanda e poi in Giappone, riceverà enormi pressioni per la firma del Mes. Il Meccanismo Europeo di Stabilità, agli occhi di Bruxelles, è ineludibile e non può essere oggetto di trattativa, come invece ha provato a fare l’Italia invocando maggiori concessioni sulla riforma del patto di stabilità, in cambio della ratifica del fondo salva stati. A chiarire il concetto sulla necessità di ratificare il Mes senza ulteriori indugi, è arrivata la dichiarazione del commissario europeo all’economia, Paolo Gentiloni, che riferendosi al pagamento della terza rata del Pnrr all’Italia, che aveva assicurato entro aprile nelle casse dello Stato, ha evocato fantomatici “ritardi tecnici nell’erogazione”. Un evidente controricatto dell’Europa all’Italia: della serie, o approvate il Mes o cominciamo a chiudere i rubinetti. Uno scenaro catacombale per un Paese che ha 2.790 miliardi di euro di debito pubblico. Altra questione che genera conflitto fra il governo Meloni e l’Europa è quella legata alle concessioni balneari. Un enorme problema politico visto che Forza Italia e Lega, che hanno invocato la mappatura delle spiagge, a dispetto di Fratelli d’Italia, non vogliono procedere con i bandi di gara, come richiesto dalla Commissione. L’Ue ci scruta con attenzione anche sulla “messa a terra” del Pnrr. Il ministro Raffaele Fitto è in grande difficoltà, a un passo dal tilt mentale: ha davanti a sé un lavoro titanico, pieno di ostacoli burocratici, e vede la sua “macchina” ministeriale piuttosto ingolfata, anche perché gli uffici del Ministero dell’Economia, invece di aiutarlo, lo boicottano. Una conseguenza prevedibile, dopo lo sconsiderato spostamento della cabina di regia, immaginata da Draghi e dall’ex ministro Daniele Franco, dal Mef a Palazzo Chigi – la destra di governo considera il Mef e gran parte degli apparati di Stato,  un ”covo di comunisti”. Lo strappo con il Deep state, che ha causato uno slittamento di sei mesi dei lavori sui progetti del Piano nazionale di ripresa e resilienza, non è, purtroppo, isolato, visto che il ministro dell’Economia, Giorgetti, stanco di ripetuti “No!”, vorrebbe sostituire il ragioniere generale dello Stato, Biagio Mazzotta, considerato dagli alti papaveri del Mef assolutamente fondamentale, con uno più malleabile. E così, dopo la cacciata del direttore generale del Tesoro, Alessandro Rivera, sull’ottimo  Mazzotta si consumerà una nuova guerra con i più importanti dirigenti di via XX Settembre, ossatura principale del Deep state. Ad agitare gli Europoteri c’è anche il legittimo piano politico immaginato da Giorgia Meloni. Lo spostamento a destra della maggioranza al Parlamento Ue, con un’alleanza tra PPE e Conservatori, crea preoccupazione nel salotto buono d’Europa, fa tremare i socialisti di Scholz e ha creato il panico tra i liberali di Macron, che temono di veder crollare la tradizionale alleanza PPE-S&D, basata anche sull’asse Parigi-Berlino, che ha prodotto la “maggioranza Ursula”. Per realizzare il suo piano, Giorgia Meloni dovrà non solo raccogliere molti voti alle Europee del 2024, ma anche definire con astuzia le sue alleanze e gettare in mare le zavorre del passato.La strizzata d’occhio al presidente del Ppe, Manfred Weber, attraverso il suo storico amico Antonio Tajani, non è sufficiente per Fratelli d’Italia: prima di abbracciare i popolari, la Ducetta dovrà liberarsi di un ingombrante alleato come Vox, l’ultradestra spagnola da sempre molto critica nei confronti di Bruxelles… Sul tavolo c’è anche il controverso rapporto tra Roma e Pechino. Nonostante la cazzata del ministro al semolino Giorgetti, che sostiene che “una valutazione di questo tipo strategico si impone non soltanto per l’Italia ma per tutti i Paesi del G7”, la verità è che l’unico Paese che ha firmato un protocollo così stringente con la Cina è l’Italia. E poiché si tratta di una partnership strutturale e non di un semplice rapporto commerciale, l’Europa, e soprattutto gli Stati Uniti (Biden lo farà presente alla Meloni al G7 in Giappone) si aspettano che l’Italia dica addio alla Via della Seta ben prima di dicembre, termine ultimo previsto per la proroga. “Io sono Giorgia” ha provato a temporeggiare, sostenendo che decisioni così delicate richiedano tempo, ma nessuno, a Bruxelles e a Washington, sembra disposto a concederne altro. Visto che i problemi non arrivano mai da soli, ma s’accompagnano a braccetto, a Palazzo Chigi iniziano a tremare le vene e i polsi in vista della data fatale per i destini d’Italia: il 19 maggio l’agenzia di rating Moody’s, già molto critica nei confronti dell’Italia e dei suoi conti pubblici, esprimerà un importante giudizio sulla solidità del sistema tricolore. Il famigerato “rischio Italia”, di cui i principali quotidiani si occupano molto poco, putroppo esiste eccome, e all’estero è ben percepito. Dopo la decisione della Bce di tagliare del 65% gli acquisti dei nostri Btp, molte banche d’affari come Goldman Sachs e Citibank, hanno consigliato ai loro investitori di stare “corti” sui nostri titoli. Un taglio ai Btp che anche importanti banche e grosse aziende italiame non hanno perso tempo a fare. E se anche Moody’s, che ha minacciato di declassare il nostro debito a “spazzatura”, desse una randellata al rating italiano, torneremmo ai manifesti del Ventennio in cui si chiede ai cittadini di dare “l’oro alla Patria”. E ci siamo quasi arrivati, vista la creazione del Btp Valore, uno strumento dedicato ai piccoli risparmiatori proprio per racimolare denaro anche dalle nonne di provincia. Quale possa essere l’impatto sul governo italiano dei ceffoni di agenzie di rating e investitori internazionali, è noto a tutti: basta ricordare cosa avvenne nel 2011 quando il governo Berlusconi fu accompagnato all’uscita dalla famigerata “tempesta dello spread”. In caso di assedio dei mercati, anche le stime sul Pil dell’Italia, dato in crescita nel 2023 dell’1,2%, oltre le stime precedenti, potrebbero rivelarsi vane, con una clamorosa inversione di tendenza nel 2024. La ciliegina sulla torta dei problemi è il controverso rapporto di Giorgia Meloni con Matteo Salvini. Tra i due, alleati per necessità, non scorre buon sangue, né grande stima reciproca, tant’è che Salvini oggi è considerato l’unico in grado di fare opposizione a Donna Giorgia. L’agonismo politico tra i due ha raggiunto vette persino comiche, al punto da spingere ieri il “Capitone” a correre in ospedale da Berlusconi per non essere oscurato dalla visita della Meloni al San Raffaele. Un testa a testa che rimbalza, dall’autonomia al presidenzialismo, dalle grandi opere alle nomine nelle partecipate, dalla guerra in Ucraina alla collocazione europea, fino ad arrivare alla Rai. Lo slittamento delle nomine dei direttori dei Tg è dovuto all’incazzatura della Lega, che reclama un telegiornale di rilievo nazionale, visto che ha solo Tgr, cioè i i tg regionali mentre Fdi si prenderà il Tg1 con Chiocci e Forza Italia il Tg2 con Preziosi. A gettare nuova benzina sul già complesso rapporto tra i due, ci penseranno anche i risultati elettorali della tornata amministrativa di ieri e oggi: i voti alle singole liste, con vittorie e sconfitte in città anche importanti come Brescia, Vicenza, Siena e Pisa, darà la misura del peso elettorale dei singoli partiti e della bontà delle strategie dei leader. Salvini capirà se la sua svolta moderata e governista ha portato risultati. Se così non fosse, l’imminente corsa verso le Europee del 2024 potrebbe segnare un drastico cambio di rotta…