RASSEGNA STAMPA

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RIENTRANDO DA STOCCOLMA E DA BERLINO GIORGIA MELONI DOVRÀ ROMPERE IL LUNGO SILENZIO E PRENDERE POSIZIONE SULLA VICENDA DEI DOCUMENTI SEGRETI UTILIZZATI DA DONZELLI E DELMASTRO, A LEI VICINISSIMI, PER UN ATTACCO POLITICO AL PD. FINITI SOTTO SCORTA PER LE MINACCE RICEVUTE, PER I DUE PARLAMENTARI SONO RICHIESTE LE DIMISSIONI DALLE CARICHE RICOPERTE. LA MELONI VORREBBE “SALVARLI” MA DEVE TENERE CONTO ANCHE DI CHI A PALAZZO CHIGI, IN FRATELLI D’ITALIA E NEGLI ALLEATI DI GOVERNO DISSENTE DALL’ATTACCO POLITICO AL PD E DALLA RIVELAZIONE DI NOTIZIE SECRETATE CHE COINVOLGONO ANCHE IL MINISTRO NORDIO DI CUI DELMASTRO È SOTTOSEGRETARIO. IL QUIRINALE CONFIDA CHE LA MELONI RIMUOVA IL CLIMA DI SCONTRO POLITICO E LE TENSIONI CHE SI SONO CREATE IN PARLAMENTO E NEL PAESE.

Estratto dell’articolo di Ilario Lombardo per “la Stampa”

La risposta in differita, a questo punto, dovrebbe arrivare oggi. E si intuisce che per l’occasione Giorgia Meloni potrebbe tirar fuori la sua agendina e dire in video cosa pensa del caso Delmastro-Donzelli. Se sceglierà il format settimanale “Gli appunti di Giorgia”, la premier dirà quello che non ha detto ieri quando La Stampa gli ha chiesto tre cose: se condivide la frase del suo sottosegretario alla Giustizia sul Pd che «si inchina alla mafia», se ritiene istituzionalmente opportuno che sempre Delmastro, il duro di Fratelli d’Italia inviato a Via Arenula, abbia divulgato documenti sensibili su cui indaga la procura di Roma; infine: se stia pensando di chiedere un passo indietro al suo fedelissimo.

Ha detto che risponderà, e c’è da credere che lo farà.

Ma quale strada sceglierà?

Le ipotesi, al momento, sono diverse e vanno contestualizzate nella cornice di una vicenda che sta provocando forti imbarazzi alla presidente del Consiglio. Anche solo il fatto di essere inseguita fino a Berlino dalle polemiche, costretta a deviare rispetto ai dossier internazionali che preoccupano il governo, mentre è accanto al cancelliere Olaf Scholz, l’ha convinta che va dato un segnale, che una sua iniziativa personale non è più rinviabile. È quello che in qualche modo si attendono anche al Quirinale. Il presidente della Repubblica non ha detto nulla, né sembra intenzionato a intervenire, almeno fino a quando i magistrati romani non si esprimeranno. I rapporti con Meloni, ripetono, sono buoni e vanno mantenuti così. Poi – è il ragionamento che fanno al Colle – è anche il suo ruolo di presidente del Consiglio superiore della magistratura a imporre questa cautela. Nelle triangolazioni con il Parlamento però trapela comunque un’attenzione del capo dello Stato verso il cortocircuito istituzionale e la feroce frattura politica che ha generato con l’opposizione. I toni sono arrivati a un punto insostenibile, per le regole della normale dialettica democratica. Cosa che pensano anche molti ministri e alleati di coalizione. Ed è quello che in qualche modo ha lasciato intendere Meloni ieri, da Berlino. Bisogna sanare questa ferita, ricucire i rapporti, e farlo subito. La premier sta meditando come uscirne. Delmastro e Donzelli rappresentano il dna del melonismo, sono i volti della rivalsa a destra e in qualche modo con il loro comportamento hanno coinvolto direttamente la leader. Lei lo sa, nonostante in cuor suo si dica che in tanti anni di lotta politica «si è arrivati altre volte a questi livelli di scontro». Ma l’orgoglio storico che rende i fratelli di partito una testuggine, una famiglia che si difende sempre dagli attacchi esterni, questa volta potrebbe danneggiare la reputazione dell’esecutivo. È quello che sta cercando di capire Meloni: fino a che punto può essere trascinata in giù, con i suoi colonnelli.