LO “SCHIAFFO” DI PAOLINI ALLA NOMENCLATURA PD……

paoliniLO “SCHIAFFO” DI PAOLINI ALLA NOMENCLATURA PD

Si dimette,non si dimette,lascia la politica,punta al parlamento nazionale forte delle amicizie su cui può contare fuori della Calabria? Inseguendo da cronista questi interrogativi che circolano nel sottobosco politico locale,Attilio Sabato,direttore di Ten e retroscenista sulla Gazzetta del Sud, riporta una serie di virgolettati attribuiti a Enzo Paolini che-si deve ritenere-sono stati oggetto di una conversazione.Di “retroscena” non c’è niente,tanto più che Paolini,notoriamente rugbysta,il gioco “pesante”,quando decide di farlo, lo fa in campo aperto e metaforicamente non negli spogliatoi o nei retrobottega della politica.Chiacchierando,dunque,con Attilio Sabato di passato e presente Paolini rifila un paio di schiaffi alla nomenclatura del PD, chiamata in causa da Sabato in termini generici con l’intento di innescare uno scontro di cui,effettivamente, considerata la palude politica in cui è sprofondata la città, si avverte la necessità. Paolini non si sottrae alla provocazione anche se fa capire che è lontanissimo dalle beghe locali ,impegnato com’è, a livello nazionale, a dare il suo contributo nel team dei “costituzionalisti” schierati per il No al referendum e che sul rispetto e l’applicazione della Costituzione, come pure sulla legge elettorale, continuano a vigilare. Un impegno di cui si trova traccia anche in articoli ospitati su “ Il Manifesto” e su “Il Fatto Quotidiano”. Quando può, considerato il carico di lavoro per la competenza che gli viene riconosciuta in materia sanitaria a livello nazionale, se ne va in giro per l’Europa con la squadra nazionale di rugby presenziando agli incontri istituzionali.Questo per chiarire che le vicende politiche cosentine non hanno prodotto traumi e lacerazioni esistenziali nella vita di Paolini.Qualche amarezza si,perché la sua è stata una battaglia “di cuore” prima che politica, incentrata sui valori della democrazia e nel rispetto delle regole del gioco. Dietro le sue candidature a sindaco non c’erano “convenienze” da conquistare, status economico da migliorare, carriere da intraprendere,clientele da alimentare.Voleva fare di Cosenza, nella scia del decennio vissuto accanto a Giacomo Mancini, una città moderna e inclusiva, culturalmente osservata e considerata nello scenario nazionale e, soprattutto, una città amministrata con criteri inderogabili di legalità e di trasparenza ponendo in primo piano le aspettative e i bisogni delle periferie e delle fasce socialmente più deboli che le abitano.La sua ingenuità è consistita nel ritenere perseguibile tale obiettivo affidandosi politicamente a una nomenclatura che, nella pratica amministrativa, è portata a perseguire obiettivi opposti,cioè di potere,di carriera e di clientele da sostenere.Paolini ne evidenzia il disprezzo delle regole, il basso profilo etico, l’inadeguatezza a rappresentare i territori e il corpo sociale, l’assenza di cultura di governo e, quindi, l’incapacità a realizzare progetti di cambiamento e di progresso.Paolini resta “signore” anche quando è sollecitato a esprimersi su chi l’ha “tradito” e la foto pubblicata da Sabato, a supporto del suo articolo, è più eloquente di ogni discorso.Se Paolini fosse appartenuto alla politica dei veleni e del coltello fra i denti avrebbe dovuto dire, oltre a riconoscere l’onestà politica e morale di tanti militanti persone perbene, che la sua candidatura a sindaco della città è stata contrassegnata, da parte dei feudatari del PD, da doppiezze,falsità, patti inconfessabili, identità politiche tradite a vantaggio dell’avversario. Tutto questo nell’indifferenza di Roma, paga delle ruffiane conversioni al renzismo rampante pur nella consapevolezza che in Calabria il PD è da tempo ostaggio di bande di potere che occupano immeritatamente le istituzioni avvalendosi di frequentazioni a dir poco disdicevoli, che hanno libero accesso ai piani alti della spesa pubblica e che,per dirla col procuratore di Cosenza,Spagnuolo, “razzolano indisturbati nei circoli e nei salotti cosentini intrecciando e coltivando rapporti e interessi che la magistratura non senza difficoltà prova a indagare . Sono i nuovi “barbari”, con clientele al seguito e risorse economiche da mettere a disposizione nelle competizioni elettorali.Rileva Paolini che ieri erano tutti bersaniani,poi sono diventati renziani e oggi sono in attesa di capire, prima di schierarsi, chi vincerà. Ma , conoscendoli, non è difficile prevedere dove approderanno. Loro,per vocazione,formazione e pratica politica stanno sempre e comunque con chi orienta e decide carriere, dispensa e garantisce convenienze e privilegi.